(S)content marketing

Pubblicato il da Francesco Vignotto

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Se ne scrivono e se ne leggono tante, su come dovrebbe essere un articolo per il web, su come bisognerebbe fare content marketing, cioè contenuti utili per l'utente e che al tempo stesso arricchiscano la reputazione di un marchio o di un professionista, e, lateralmente, generino contatti di lavoro e procurino clienti.

Se ne scrivono talmente tante, che si riducono sempre a poche costanti di superficie, che puntano gli occhi sulle strisce del campo da gioco di una partita che, per l'utente/destinatario, non inizia mai, come ho descritto nell'articolo precedente (quello su SEO e cessificazione del sapere, che intasa i risultati di ricerca con tonnellate di spam).

Da quasi vent'anni si discute se gli utenti scrollano o non scrollano la pagina. Ogni giorno catene di montaggio alimentate da reattori a fissione lapalissiana sfornano studi e infografiche per dimostrare che la maggior parte degli utenti legge solo il titolo (che tra l'altro - forse se ne è persa la memoria - è stato inventato soprattutto per questo: per annusare, capire se passare oltre o continuare a leggere).

Si coniano ogni giorno neologismi fumogeni (con buona pace del vituperato burocratese) e si scomodano le neuroscienze per trovare capziose legittimazioni a qualsiasi pratica riproducibile in serie per attrarre, fuorviare, sequestrare l'attenzione e, in sostanza, far perdere tempo sul proprio sito o sulla propria pagina Facebook. Spam, spam, spam, spam.

- Fermo. Hai usato parole offensive. Noi facciamo contenuti di qualità!

Bene, ne siamo proprio sicuri? Avrei molto da dire al riguardo, eppure proprio ieri sono incappato in un articolo su Seriouspony di Kathy Sierra, storica programmatrice e sviluppatrice di giochi, esperta di User Experience, che ha espresso esattamente ciò che volevo dire, con una sensibilità straordinaria.

Perciò condivido e confermo tutto ciò che segue, che coincide alla perfezione con il frutto della mia (più breve della sua e differente) esperienza nelle aziende e con i professionisti alle prese con l'information overload e le luci colorate della comunicazione interna ed esterna, sul web e fuori dal web.

La domanda è: qual è il prezzo di tutto questo? Stiamo veramente dando un contributo di valore, commisurato a ciò che richiediamo (o più spesso sottraiamo) all'utente/destinatario/lettore?

La risorsa scarsa

Kathy Sierra spiega come le scienze cognitive abbiano scoperto negli ultimi anni che i processi cognitivi e la forza di volontà attingerebbero dalla stessa riserva di energie. Questa riserva sarebbe (relativamente) limitata: ciò che bruci per compiere un compito che richiede attenzione o volontà diminuisce le tue risorse che potresti dedicare ad altro. È per questo, ad esempio, che dopo una giornata impegnativa puoi addormentarti mentre guardi un film che desideravi da tempo di vedere, o mentre ti dedichi alle persone che ami, o ti è molto più difficile mantenere fede a un proposito che avevi preso (ad esempio, osservare una dieta).

Ciò può accadere anche per delle app progettate male sotto l'aspetto dell'usabilità. Ma accade anche per quelle progettate "bene" e per il content marketing quando siano "studiati e messi a punto per trucchi persuasivi ("colpetti sulla spalla", gamification, trabocchetti comportamentali, ecc.) per mantenermi "coinvolto" per il tuo beneficio, non per il mio".

Ma voglio lasciare la parola all'autrice, traducendo alcuni passaggi di un articolo che merita di essere letto in completo.

Buona lettura (e un grazie ad Aldo Pinga per avermi fatto incontrare questo post).

...Ma, anche se possiamo giustificare il consumo delle risorse cognitive dei nostri utenti quando utilizzano il nostro prodotto, che dire del nostro marketing? Possiamo onestamente credere che il nostro "content marketing" faccia un buon uso delle loro risorse? "Certo, perché aggiunge valore." ci rispondiamo. Ma cosa significa? Possiamo onestamente dire che "interagire con il nostro brand" sia un uso salutare, etico delle loro scarse, preziose e limitate risorse cognitive? "Certo, perché il nostro contenuto è utile."

E ciò è tutto fantastico e favoloso e social e 3.0, eccetto che per un piccolo inconveniente: la somma zero. Ciò che consumi qui, lo prendi da là. Non solo la loro attenzione, non solo il loro tempo, ma l'abilità di essere le persone che sono quando sono al loro meglio. Quando hanno ampie risorse cognitive. Quando possono pensare, risolvere problemi ed esercitare l'autocontrollo. Quando possono creare, stabilire connessioni e rimanere concentrati.
Quel contenuto è degno? Forse. Ma invece di domandarci "è utile?" forse dovremmo alzare l'asticella e chiederci: "Lo useranno?"(...)

Io non sono contro il "content marketing". Al contrario, è quasi l'unica forma di marketing che consuma le risorse cognitive in modo degno. È l'unica forma di marketing che può aiutare le persone a diventare migliori in qualcosa a cui tengono. È una forma di marketing con il potenziale per fornire all'utente le competenze di cui così poche aziende si prendono cura. Il Content marketing può (e dovrebbe) essere "Il Manuale Mancante". Può (e dovrebbe essere) l'ispirazione per i nostri utenti ad imparare, a migliorarsi (in ciò che interessa loro), e connettersi con gli altri utenti.

Ma se il "contenuto" è progettato esclusivamente per risucchiare le persone ("7 modi per essere dannatamente impressionante!!") e per cogliere la possibilità di "convertire", stiamo facendo loro del male. E così anche se stiamo pompando "contenuto" solo per la frequenza. Io sto facendo del male ad alcuni di voi ora. Ed è colpa mia. Ed è per questo che cerco di utilizzare la grafica per esprimere il punto chiave, in modo che non ci sia bisogno di leggere il post (...)

Mio padre è morto improvvisamente la scorsa settimana, e come accade quando muore qualcuno vicino a noi, ho avuto il mio momento del "sul letto di morte, nessuno pensa a...". Negli ultimi 20 anni del mio lavoro, ho creato i giochi interattivi di marketing, siti gamificati (prima che si chiamassero così), e decine di altri progetti accuratamente, abilmente, scientificamente progettati per trangugiare le risorse cognitive in cambio di... molto poco per cui "valesse la pena". La gente sceglieva volontariamente di farsi coinvolgere? Certo. E per "certo" voglio dire, non proprio, no. Non secondo la psicologia, le neuroscienze, e le ricerche di economia comportamentale degli ultimi 50 anni. Erano strattonati / sedotti / ingannati. E io ero abbastanza brava a farlo. E sono molto, molto pentita.

Il mio scopo per Serious Pony è aiutare tutti a prendersi miglior cura dei propri utenti. Non solo mentre stanno interagendo con la nostra app, il nostro sito, o il nostro prodotto, ma dopo. Non solo perché sono i nostri utenti, ma perché sono persone.

Perché sul loro letto di morte, non penseranno: "Se solo avessi passato più tempo a interagire con i brand".
Aiutateli a conservare e a gestire le loro preziose, facilmente deperibili risorse cognitive. Per loro. E non dimenticate di prendervi cura di voi.

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